

Home » Salute e ricerca » Sfida tra ricerca e screening sul tumore del Collo dell’utero
Gennaio è il mese dedicato alla prevenzione del tumore del collo dell’utero. Una forma di cancro prevenibile attraverso la vaccinazione anti Hpv e con un’attenzione particolare agli screening periodici. I dati dell’ISS.
Il tumore del collo dell’utero continua a rappresentare un importante problema di salute pubblica, nonostante l’esistenza di strategie preventive sempre più efficaci. Come ricorda il professor Massimo Origoni, ginecologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano, la causa principale è il Papilloma Virus Umano (HPV), identificato nel 95-98% dei casi diagnosticati. La peculiarità sta nel fatto che non è il virus stesso a determinare inevitabilmente la malattia, ma la sua persistenza, strettamente correlata all’efficacia del sistema immunitario nel contrastare l’infezione.
Le linee guida europee già nel 2015 raccomandavano l’introduzione dell’HPV test come esame primario per le donne sopra i 30-35 anni. In Italia, il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2019 ha progressivamente adeguato i protocolli, estendendo le campagne vaccinali anche ai maschi.
Il percorso di screening è oggi articolato in modo più complesso: dai 25 ai 30/35 anni si effettua il Pap test ogni tre anni, mentre sopra i 30/35 anni si propone l’HPV test ogni cinque anni.
Questa strategia tiene conto della maggiore prevalenza di infezioni transitorie nelle fasce più giovani, che spesso si risolvono spontaneamente.
I dati PASSI 2022-2023 (Progetto di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità acronimo di Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia, vedi tabella) offrono un quadro dettagliato della situazione nazionale. Il 78% delle donne tra 25 e 64 anni si sottopone a screening cervicale, con significative variazioni geografiche. Le regioni settentrionali e centrali raggiungono l’83% di copertura (con punte dell’89% in Alto Adige), mentre il Meridione si attesta intorno al 69%, con la Calabria che scende al 58%. Persistono disuguaglianze legate a istruzione, cittadinanza e condizione sociale: l’11% delle donne non ha mai eseguito lo screening e il 13% lo ha fatto da oltre tre anni.
La diagnose precoce rappresenta l’arma più efficace. I sintomi precoci, spesso sottovalutati, includono sanguinamento atipico, secrezioni cervicali anomale, dolore pelvico e sanguinamento post-rapporto. La tempestività nella diagnosi garantisce una sopravvivenza fino al 90% negli stadi iniziali.
Nel caso di lesioni precoci, come la Neoplasia Intraepiteliale Cervicale (CIN), è possibile intervenire con procedure conservative che preservano l’integrità dell’utero.
La crisi sanitaria da COVID-19 ha significativamente rallentato i programmi di screening, con una riduzione delle coperture che non ha ancora raggiunto i livelli pre-pandemici. Particolare attenzione è riservata alle nuove coorti: dal 1° gennaio 2023, le 25enni già vaccinate contro HPV con almeno due dosi prima dei 15 anni vedranno posticipato l’invito al primo HPV test a 30 anni.
Lo screening organizzato resta lo strumento principale per ridurre le disuguaglianze di accesso alla prevenzione, con il 46% delle donne che aderisce a programmi ASL e il 31% che effettua controlli su iniziativa personale. L’invito da parte dell’ASL, associato al consiglio di un medico di fiducia, si conferma l’intervento più efficace per migliorare l’adesione.
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