Depressione resistente, in Italia parte la prima sperimentazione clinica controllata con la Psilocibina

Nel cuore della rivoluzione terapeutica che sta scuotendo le fondamenta della psichiatria moderna, l’Italia compie un passo storico: per la prima volta, la psilocibina — un composto psichedelico naturalmente presente in alcune specie di funghi — sarà testata in un contesto clinico per il trattamento della depressione resistente ai farmaci. Il via libera dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) segna non solo l’inizio dello studio sperimentale, ma anche l’apertura a una nuova fase di medicina personalizzata, dove la neurobiologia incontra l’esperienza soggettiva.

Il progetto, finanziato attraverso i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara, la Asl Roma 5 e gli Ospedali Riuniti di Foggia. Lo studio avrà una durata di 24 mesi e coinvolgerà 68 pazienti affetti da depressione maggiore resistente al trattamento (TRD – Treatment-Resistant Depression). Le somministrazioni avverranno presso la Clinica Psichiatrica di Chieti, diretta dal professor Giovanni Martinotti, e saranno accompagnate da una supervisione medica e psicoterapeutica intensiva.

Una molecola antica, una visione moderna

La psilocibina non è una sostanza nuova. È il principio attivo presente in decine di specie di funghi allucinogeni, tra cui i più noti Psilocybe cubensis e Psilocybe semilanceata. Dopo l’ingestione, viene convertita nel fegato in psilocina, una molecola che agisce principalmente sui recettori 5-HT2A della serotonina, un neurotrasmettitore chiave nella regolazione dell’umore, del comportamento e della percezione.

Negli anni ’60 la psilocibina, insieme ad altri psichedelici, venne esplorata da pionieri come Timothy Leary e Roland Griffiths, ma la ricerca fu presto interrotta da un clima di sospetto politico e sociale. Solo negli ultimi due decenni, grazie al rigore metodologico della moderna neuroscienza, le molecole psichedeliche hanno riconquistato la scena clinica, con una quantità crescente di prove sperimentali. Tra queste, lo studio pubblicato su The New England Journal of Medicine nel 2021 da Carhart-Harris et al., che dimostrava l’efficacia della psilocibina rispetto all’antidepressivo escitalopram, è stato un punto di svolta.

Un cambio di paradigma nella cura della depressione

La depressione maggiore è una delle principali cause di disabilità a livello globale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne soffrono oltre 280 milioni di persone nel mondo. Il 30% circa dei pazienti non risponde adeguatamente ai farmaci antidepressivi convenzionali, e viene quindi classificato come affetto da depressione resistente. Per questi soggetti, spesso sottoposti a cicli multipli di terapie inefficaci, la psilocibina rappresenta una nuova speranza.

Il razionale scientifico alla base dell’utilizzo della psilocibina si fonda sull’idea che, più che agire come un farmaco sintomatico, essa “resetti” le reti neurali disfunzionali legate alla depressione. Studi condotti presso istituzioni come il Johns Hopkins Center for Psychedelic and Consciousness Research e l’Imperial College London hanno documentato effetti positivi già dopo una o due somministrazioni, in ambienti controllati e accompagnate da supporto psicoterapico.

Nel cervello, la psilocina sembra provocare una temporanea disintegrazione della cosiddetta default mode network (DMN), una rete neurale coinvolta nei processi autoriflessivi e ruminativi, spesso iperattiva nei pazienti depressi. L’effetto è una sorta di “riorganizzazione cognitiva” che permette al paziente di uscire da schemi mentali rigidi, favorendo nuovi insight emotivi e relazionali.

La sperimentazione italiana: rigore e innovazione

Lo studio italiano, oltre a testare l’efficacia clinica della psilocibina, integrerà tecniche avanzate di neuroimaging e neurofisiologia, per analizzare in tempo reale come cambia l’attività cerebrale dei pazienti durante e dopo l’assunzione del composto. Tecnologie come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), l’elettroencefalografia (EEG) e la spettroscopia NIRS (near-infrared spectroscopy) aiuteranno a identificare biomarcatori predittivi di risposta e a raffinare il profilo del paziente candidato.

La componente psicoterapeutica sarà centrale: le sessioni non si limiteranno alla somministrazione del composto, ma includeranno preparazione, accompagnamento durante l’esperienza e integrazione successiva, secondo un modello terapeutico ormai consolidato a livello internazionale. In questo contesto, la sicurezza dei pazienti è garantita da una costante supervisione clinica e da ambienti strutturati per minimizzare rischi e disagi.

Verso psichedelici non allucinogeni?

Uno degli aspetti più innovativi dello studio è la possibilità di esplorare, parallelamente, formulazioni non psichedeliche della psilocibina. Come spiega in una nota ufficiale ISS la dott.ssa Francesca Zoratto, ricercatrice dell’ISS e Principal Investigator del progetto “Per la prima volta potremo valutare l’efficacia della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato, ma anche esplorarne forme innovative come quella non psichedelica, che possa eliminare gli effetti allucinogeni mantenendo il potenziale terapeutico”. Esiste infatti un crescente interesse verso molecole che conservino l’efficacia antidepressiva, ma senza indurre esperienze allucinogene. Questo approccio, oggi al centro della ricerca biotecnologica negli Stati Uniti (si pensi a società come Compass Pathways o Delix Therapeutics), potrebbe rendere la terapia più accessibile a un pubblico più ampio, eliminando barriere etiche, culturali e normative.

Oltre la stigmatizzazione: scienza, cultura e salute mentale

“È un cambio di paradigma scientifico e culturale”, ha dichiarato il professor Martinotti. E in effetti, la psilocibina non rappresenta soltanto una nuova molecola da testare, ma un’intera nuova visione della salute mentale. Una visione che riconosce il potenziale trasformativo dell’esperienza soggettiva, che mette al centro la neuroplasticità, e che sfida il riduzionismo farmacologico.

Negli Stati Uniti, l’FDA ha già concesso alla psilocibina lo status di “breakthrough therapy” per la depressione resistente, un’etichetta riservata a trattamenti altamente promettenti. Nel 2024, l’Australia ha legalizzato l’uso clinico della psilocibina per disturbi psichiatrici gravi. Ora anche l’Italia si colloca in questa traiettoria, contribuendo con il proprio rigore scientifico e la propria tradizione clinica.

 


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Giornalista professionista ha lavorato per tv, radio, websites e testate giornalistiche locali e nazionali. Già responsabile di uffici stampa per enti pubblici e privati, oggi coordina l’Ufficio stampa e Comunicazione del Gruppo Bartoli. Dirige la rivista digitale oggibenessere di cui la Fondazione Bartoli è editrice. Un quotidiano nato dalla necessità di comunicare come la salute sia un equilibrio imprescindibile fra uomo e Natura.