Emergenza anziani in Italia: 3 su 10 fragili, assistenza solo per il 12%

Tre anziani su dieci in Italia non riescono più a vivere autonomamente. Parliamo di 1,7 milioni di persone over 65 che ogni giorno dipendono da altri per lavarsi, vestirsi, fare la spesa o semplicemente sopravvivere. Ma il dato più sconvolgente è un altro: il 95% di loro riceve aiuto solo dai familiari, mentre appena il 12% può contare su assistenza pubblica. Questi i numeri dell’Istituto Superiore della Sanità, emersi dalla sorveglianza PASSI d’Argento 2023-2024 appena pubblicata, che fotografano un’Italia che invecchia male e in solitudine. Non è un problema che riguarda solo le famiglie: è il fallimento di un intero sistema che ha deciso di voltarsi dall’altra parte mentre una parte crescente della popolazione sprofonda nella vulnerabilità.

La geografia della disperazione

La carta d’identità conta più della genetica quando si tratta di invecchiare in Italia. Se nasci al Sud, hai il 70% di probabilità in più di diventare disabile da anziano rispetto a chi vive al Nord. Se sei donna, le tue chance di perdere l’autonomia aumentano del 70%. Se sei povero, hai tre volte più probabilità di non riuscire a prenderti cura di te stesso. Se hai studiato poco, il rischio si quadruplica.

Non è il caso, non è sfortuna: è l’effetto di disuguaglianze strutturali che si accumulano lungo tutta la vita e esplodono nell’età più fragile. Il 17% degli anziani meridionali è disabile, contro il 10% di quelli del Nord. La fragilità tocca il 19% nel Mezzogiorno e solo l’11% nelle regioni settentrionali. Un abisso che spacca l’Italia in due anche di fronte alla vecchiaia.

Fragilità e disabilità: i numeri

Il 14% degli over 65 italiani è disabile, incapace di svolgere attività basilari come lavarsi, vestirsi o alimentarsi. Il 16% è fragile, ovvero ha difficoltà nelle attività strumentali della vita quotidiana, come preparare i pasti, fare la spesa o gestire il denaro. Questo significa che quasi un anziano su tre ha perso almeno in parte l’autonomia, rendendosi dipendente dagli altri per affrontare la giornata.

La situazione peggiora drasticamente con l’avanzare dell’età: tra gli over 85, il 40% è disabile e il 30% fragile. Ma ciò che fa più riflettere è il legame diretto con le condizioni socioeconomiche. Chi vive in condizioni economiche disagiate ha tre volte più probabilità di essere disabile rispetto a chi è benestante. E se si ha un basso livello d’istruzione, la probabilità di invecchiare male si quadruplica. Non è il caso, non è la genetica: è l’effetto di diseguaglianze strutturali non affrontate da decenni.

Un Paese spaccato: il sistema sanitario a due velocità

Il divario Nord-Sud si conferma anche nell’accesso alle cure e nella qualità dell’invecchiamento. Al Sud il 17% degli anziani è disabile, mentre al Nord si ferma al 10%. La fragilità è del 19% nel Mezzogiorno, dell’11% nelle regioni settentrionali. Non è una lieve differenza, ma un vero e proprio abisso, che riflette anni di squilibri negli investimenti e nei servizi territoriali.

A ciò si aggiungono le disuguaglianze di genere: le donne over 65 hanno il 70% in più di probabilità di vivere con disabilità rispetto agli uomini. Pagano il prezzo di una vita spesso dedicata alla cura degli altri, a scapito della propria salute, e di una minore protezione economica durante la vecchiaia.

Assistenza domiciliare e welfare familiare: una crisi silenziosa

Il 95% degli anziani con disabilità riceve aiuto esclusivamente dai familiari. Solo il 12% usufruisce di assistenza domiciliare pubblica, e appena il 2% accede a centri diurni. Questi numeri raccontano l’assenza quasi totale di un welfare pubblico capace di sostenere la popolazione anziana in modo strutturato e continuativo.

La conseguenza è che il peso dell’assistenza ricade sulle famiglie, spesso impreparate e prive di supporto. Il 37% delle famiglie ricorre a badanti private, ma questa opzione è sostenibile solo per chi ha mezzi economici sufficienti. Chi non può permetterselo, resta solo. Questo sistema alimenta disuguaglianze e stress psicofisico per chi assiste e per chi è assistito.

I deficit sensoriali e l’isolamento invisibile

Un quarto degli anziani soffre di deficit sensoriali non compensati. Il 9% non vede bene neppure con gli occhiali, il 13% ha difficoltà uditive non risolvibili con apparecchi, l’11% ha problemi di masticazione. Sono limiti che compromettono la vita quotidiana e che, se non affrontati, portano a isolamento e depressione.

Le persone con problemi di vista hanno tre volte più probabilità di essere socialmente isolate e oltre il doppio di sviluppare sintomi depressivi. La prevenzione e la correzione precoce di questi deficit potrebbe migliorare enormemente la qualità della vita, ma viene sistematicamente trascurata. È un’altra dimostrazione del fallimento della presa in carico complessiva degli anziani.

Farmaci e controllo medico: un Far West terapeutico

Quasi 9 anziani su 10 assumono farmaci ogni giorno, e il 39% prende almeno quattro tipi diversi di medicinali. Ma solo un medico su tre si preoccupa di verificare la correttezza delle terapie. Questo crea un contesto pericoloso, una sorta di Far West terapeutico in cui le persone si trovano a gestire da sole un carico farmacologico complesso.

La pandemia ha peggiorato la situazione. Il controllo medico regolare è crollato dal 42% al 30% durante il COVID-19 e oggi si attesta intorno al 33%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemici. Questo significa che due anziani su tre sono lasciati a se stessi, con il rischio di interazioni farmacologiche, errori di dosaggio ed effetti collaterali gravi. Un problema sommerso ma di enorme portata.

Un finto miglioramento: l’illusione post-pandemia

I dati PASSI indicano un’apparente riduzione di fragilità e disabilità rispetto al 2016, con un calo netto a partire dal 2021. Ma questo “miglioramento” ha una spiegazione inquietante: la pandemia ha colpito duramente gli anziani più vulnerabili, che oggi non compaiono più nelle statistiche semplicemente perché non ci sono più.

Questa selezione naturale, crudele e silenziosa, ha ripulito i dati ma non ha migliorato le condizioni strutturali. È un’illusione statistica che rischia di distorcere la percezione del problema e rallentare gli interventi urgenti che sarebbero invece indispensabili.

L’Italia nel contesto europeo: un confronto post-pandemia

Per comprendere meglio la gravità della situazione italiana, è fondamentale confrontare i nostri dati con quelli degli altri paesi europei utilizzando le statistiche più recenti del 2023, che riflettono la realtà post-pandemica e sono temporalmente allineate con i dati PASSI italiani.

Le dimensioni del problema europeo nel 2023

I dati Eurostat 2023 mostrano che nell’Unione Europea il 26,8% delle persone di età pari o superiore a 16 anni presenta una limitazione nelle attività quotidiane a causa di problemi di salute. Tra gli anziani, la situazione è particolarmente critica: il 74,8% delle persone di età pari o superiore a 85 anni riporta qualche forma di disabilità.

L’Italia, con il suo 30% di anziani over 65 fragili o disabili secondo PASSI 2023, si colloca in una posizione relativamente favorevole rispetto alla media europea più ampia, ma occorre considerare che i dati italiani si concentrano specificamente sulla fascia over 65, mentre quelli europei includono tutte le età adulte.

Le disuguaglianze socioeconomiche: un fenomeno trasversale

Il collegamento tra condizioni economiche e disabilità emerge chiaramente anche a livello europeo. Nel 2023, il 35,4% delle persone nel quintile di reddito più basso dell’UE presenta una disabilità, contro il 17,9% di quelle nel quintile più alto. Questo divario di quasi 18 punti percentuali è paragonabile a quello italiano, dove chi vive in condizioni economiche disagiate ha tre volte più probabilità di essere disabile.

I divari maggiori tra ricchi e poveri si registrano in Croazia (35,8 punti percentuali), Lettonia (33,6 pp) ed Estonia (33,1 pp), mentre i divari minori si osservano in Slovacchia (3,8 pp) e Lussemburgo (5,9 pp).

Il peso dell’istruzione sull’invecchiamento

La relazione tra livello educativo e disabilità è ancora più marcata: nel 2023, il 37,4% degli europei con al massimo istruzione secondaria inferiore presenta una disabilità, contro il 17,9% di chi ha un’istruzione terziaria. Il divario più ampio si registra in Croazia (38,3 punti) e Cipro (33,5 pp), mentre la Danimarca presenta il gap più contenuto (12,6 pp).

L’Italia rispecchia questa tendenza europea, ma con intensità particolarmente elevata: chi ha un basso livello d’istruzione ha quattro volte più probabilità di invecchiare male, un dato che colloca il nostro Paese tra quelli con le disuguaglianze educative più marcate in ambito sanitario.

Il persistente divario di genere

Il fenomeno delle maggiori difficoltà femminili nell’invecchiamento si conferma trasversale in Europa. I dati 2023 mostrano che in tutti i Paesi UE le donne hanno maggiori probabilità di riportare disabilità rispetto agli uomini, con i divari più ampi in Romania, Portogallo, Lettonia e Finlandia (7,9-9,7 punti percentuali).

L’Italia, con le sue donne over 65 che hanno il 70% in più di probabilità di vivere con disabilità rispetto agli uomini, si colloca nella fascia alta di questo divario europeo, riflettendo problemi strutturali comuni ai paesi dell’Europa meridionale.

È importante sottolineare che il confronto diretto rimane complesso a causa delle diverse metodologie di rilevazione. I dati PASSI italiani utilizzano criteri specifici per fragilità e disabilità (attività di base e strumentali della vita quotidiana), mentre le statistiche Eurostat si basano su autovalutazioni delle limitazioni nelle attività abituali. Tuttavia, entrambi i sistemi convergono nell’evidenziare le stesse disuguaglianze strutturali.

Dal confronto europeo 2023 emerge un’Italia che non si distingue particolarmente né in positivo né in negativo rispetto alla media UE. Il vero problema italiano non è tanto la posizione relativa quanto l’inadeguatezza del sistema di supporto: con solo il 12% di anziani disabili che accede all’assistenza domiciliare pubblica, l’Italia rimane tra i fanalini di coda europei per servizi di long-term care, costringendo le famiglie a sostenere un carico assistenziale insostenibile.

L’urgenza di una rivoluzione nel sistema di cura

La crisi dell’invecchiamento in Italia non è un’emergenza contingente, ma un fallimento sistemico. Serve un ripensamento profondo del sistema sanitario nazionale e delle politiche sociali, con interventi strutturali orientati alla prevenzione, all’assistenza domiciliare, alla presa in carico multidisciplinare degli anziani e al sostegno alle famiglie.

Il confronto europeo dimostra che alternative esistono e funzionano. Paesi con sistemi di welfare più sviluppati mostrano risultati migliori sia in termini di autonomia degli anziani sia di qualità della vita. L’Italia ha le risorse e le competenze per intraprendere questa strada, ma serve una volontà politica chiara e investimenti strutturali.

Riconoscere il diritto all’invecchiamento dignitoso come diritto universale è la base per un nuovo patto sociale. Ignorare questi dati significa accettare l’idea che nascere poveri, donna o al Sud equivalga a una condanna a invecchiare peggio. I numeri sono chiari, sia quelli italiani sia quelli del confronto europeo aggiornato. Ora serve solo la volontà politica di agire.

 


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Giornalista professionista ha lavorato per tv, radio, websites e testate giornalistiche locali e nazionali. Già responsabile di uffici stampa per enti pubblici e privati, oggi coordina l’Ufficio stampa e Comunicazione del Gruppo Bartoli. Dirige la rivista digitale oggibenessere di cui la Fondazione Bartoli è editrice. Un quotidiano nato dalla necessità di comunicare come la salute sia un equilibrio imprescindibile fra uomo e Natura.