Smart working, disturbi fisici e psicologici in crescita esponenziale
Il lavoro da remoto ha rivoluzionato il concetto di attività lavorativa, specie negli ultimi anni, offrendo flessibilità e autonomia ma anche un significativo aumento di problematiche legate al benessere fisico e mentale. I più rilevanti studi scientifici pubblicati nel biennio 2021-2023 segnalano una crescita impressionante di disturbi muscoloscheletrici, affaticamento visivo, ansia, stress e burnout tra chi lavora abitualmente da casa.
Vediamo nel dettaglio il quadro tracciato dalla letteratura internazionale, che offre dati, riflessioni e raccomandazioni fondamentali tanto per lavoratori quanto per aziende.
La “pandemia” dei disturbi muscoloscheletrici
nel lavoro da remoto
Le ricerche più avanzate confermano che il lavoro a distanza, se non viene accompagnato da accorgimenti ergonomici, può portare a conseguenze molto più gravi rispetto ai tradizionali uffici. La revisione sistematica di Oakman et al. (2023) ha analizzato numerosi studi sugli effetti del remote working sul corpo: ben il 60-70% dei lavoratori da remoto riferisce dolori persistenti a collo, spalle, schiena e polsi. Questi dolori, seppur spesso sottovalutati, impattano sulla capacità produttiva, aumentando assenteismo, spese sanitarie e tendenza all’abbandono della posizione lavorativa.
Non si tratta solo di una questione numerica: i dati mostrano che la diffusione di postazioni domestiche non regolabili – sedie non ergonomiche nel 56,9% dei casi e tavoli non regolabili nell’86,3% – crea situazioni in cui la postura resta scorretta anche per molte ore consecutive. Uno studio locale italiano ha documentato come metà dei lavoratori già affetti da cervicalgia abbia visto peggiorare i sintomi durante lo smart working, in particolare in assenza di monitor e supporti adeguati.
La carenza di movimento e la tendenza a trascurare pause regolari accentuano la sedentarietà, facendo aumentare il rischio di patologie croniche. Le ricerche mostrano che, se l’ufficio fisico stimolava spostamenti e cambi di posizione anche solo per motivi logistici, la casa tende invece a “immobilizzare” chi lavora, con ricadute sull’efficienza del sistema muscoloscheletrico.
Affaticamento visivo e disturbi del sonno:
l’impronta digitale sulle nostre vite
Un rischio meno visibile ma altrettanto diffuso riguarda l’affaticamento oculare e i disturbi del sonno. Il continuo uso di schermi digitali, spesso per oltre 8-9 ore al giorno, espone i lavoratori a fenomeni di secchezza degli occhi, bruciore, visione offuscata e frequenti emicranie. L’illuminazione raramente controllata e l’assenza di pause programmate peggiorano il quadro: solo una minoranza dichiara di seguire la regola 20-20-20, ovvero distogliere lo sguardo dallo schermo ogni 20 minuti per almeno 20 secondi.
Questi problemi si riflettono anche sulle abitudini notturne: la prolungata esposizione alla “luce blu” degli schermi nelle ore serali interferisce con la produzione di melatonina, compromettendo la qualità e la durata del sonno. I ricercatori hanno accertato che disturbi del sonno e affaticamento psicofisico sono oggi tra le principali cause di calo della produttività e di insoddisfazione lavorativa.
Salute mentale: tra nuove opportunità
e rischi emergenti
In una prima fase, il lavoro remoto si è dimostrato un alleato della salute mentale. Secondo lo studio longitudinale di Shimura et al. (2021), l’eliminazione del pendolarismo e una maggiore autonomia organizzativa hanno ridotto il livello di stress in tanti lavoratori, garantendo maggiore flessibilità e la possibilità di gestire orari ed energie in maniera più personale. Soprattutto chi era abituato a stress da traffico, ambienti rumorosi o relazioni lavorative conflittuali ha goduto di un vantaggio tangibile.
Tuttavia, l’ “effetto benessere” si è esaurito in molti casi dopo pochi mesi. Lo stesso team di ricerca ha mostrato come la modalità full-remote non regolamentata porti, sul medio-lungo periodo, a un calo di motivazione, un aumento del burnout e problemi di concentrazione. Il rischio cresce con la durata e in mancanza di una struttura organizzativa chiara e condivisa.
Lo stress del telelavoro (TERRA)
Uno degli aspetti più indagati negli ultimi anni è il cosiddetto TERRA (TElewoRk-RelAted Stress), descritto in modo approfondito da Costantini et al. (2022): isolamento sociale, sovraccarico tecnologico, reperibilità costante e assenza di separazione tra lavoro e vita domestica convergono a creare una pressione psicofisica cronica, che può portare a depressione, sensazione di inefficacia e perdita di contatto con la rete sociale.
Le categorie più colpite risultano essere le donne, i caregiver familiari e chi vive in spazi domestici ridotti o condivisi. Oltre il 50% dei partecipanti alle ricerche sistematiche ha dichiarato di sentirsi più solo e “distante” dai team lavorativi, mentre una persona su tre ha segnalato sintomi di burnout o desiderio di abbandonare la posizione lavorativa.
L’importanza della gestione consapevole:
prevenire e intervenire
Le linee guida internazionali e le buone pratiche suggeriscono soluzioni precise e concrete per limitare l’esplosione di questi effetti negativi. Investire nell’ergonomia dell’home office non è un lusso, ma un imperativo: bastano piccole modifiche (regolazione di sedie e schermi, utilizzo di supporti, illuminazione adeguata) per ridurre in modo significativo rischi muscoloscheletrici e visivi.
Oltre agli aspetti strutturali, è fondamentale promuovere routine sane: pause attive frequenti, microesercizi, piani di lavoro chiari con orari definiti di inizio e fine giornata, e rispetto del diritto alla disconnessione. Molte aziende propongono cicli di formazione dedicati proprio all’autogestione, all’attenzione psicologica e all’identificazione precoce dei sintomi di burnout.
Infine, garantire un supporto psicologico e opportunità di contatto sociale (reali e virtuali) aiuta a ridurre il senso di isolamento e promuove il benessere generale. Secondo vari report, i team che mantengono una comunicazione costante e prevedono momenti collettivi di confronto e supporto mostrano tassi di stress e burnout decisamente più bassi.
Il quadro che emerge dagli studi recenti è chiaro: il lavoro da remoto rappresenta una rivoluzione tutt’altro che neutra sulla salute psicofisica. L’entusiasmo iniziale della flessibilità ha lasciato il posto alla consapevolezza che ergonomia, organizzazione e supporto psicologico sono elementi fondamentali per trasformare la sfida in un’opportunità davvero sostenibile.
Aziende e lavoratori devono investire in cultura del benessere: piccole scelte quotidiane, policy ben strutturate e attenzione alle condizioni reali possono ridurre drasticamente i rischi e restituire al lavoro agile il suo potenziale positivo. Solo così il futuro del lavoro potrà essere sano, produttivo e inclusivo per tutti.
BIBLIOGRAFIA
Oakman J., Kinsman N., Stuckey R., Graham M., Weale V. (2023). A Systematic Review of the Impact of Remote Working Referenced Studies on Physical and Psychological Health. International Journal of Environmental Research and Public Health.
Shimura A., Hagiwara H., Nakano H., Otaka T. (2021). Remote Work Decreases Psychological and Physical Stress Responses but Full-Time Remote Work Can Reduce Work Productivity. International Journal of Environmental Research and Public Health.
Costantini A., Donati S., Lenzi J., Conti C. (2022). TElewoRk-RelAted Stress (TERRA), Psychological and Physical Stress in Remote Workers: A Systematic Review. International Journal of Environmental Research and Public Health.
Federica Menghinella