Cannabis ad uso medico, diminuiscono le reazioni avverse in Italia
Negli ultimi anni, l’uso della cannabis a scopo medico è diventato sempre più comune nel nostro paese. Tuttavia, questo sviluppo ha portato con sé la necessità di capire meglio quali rischi potrebbero presentarsi per chi utilizza questi trattamenti. L’Istituto Superiore di Sanità si occupa proprio di questo aspetto, raccogliendo tutte le segnalazioni di possibili effetti negativi legati all’uso di preparati a base di cannabis.
I numeri che emergono dalle statistiche più recenti sono piuttosto interessanti e, sotto certi aspetti, rassicuranti. Durante la prima metà del 2024, sono arrivate solamente 2 segnalazioni di problemi legati all’uso di cannabis terapeutica. Parliamo di due pazienti, uno dalla Liguria e uno dal Friuli-Venezia Giulia: un uomo di 64 anni e una donna di 83 anni. Nella seconda parte dell’anno, la situazione è stata ancora più tranquilla, con una sola segnalazione che riguardava principalmente l’inefficacia del trattamento per una persona affetta da fibromialgia.
Quello che colpisce maggiormente è come questi numeri siano diminuiti drasticamente negli anni. Pensate che nel 2018 arrivavano circa 27 segnalazioni ogni sei mesi, mentre nel 2023 erano scese a 5. Questo calo potrebbe significare che i medici hanno imparato a prescrivere meglio questi farmaci, ma allo stesso tempo rende più complesso monitorare la loro sicurezza nel lungo periodo.
Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, basti pensare che tra il 2019 e il 2024 sono state scritte circa 100mila ricette per cannabis terapeutica, distribuite tra quasi 28mila pazienti italiani. L’età media di chi riceve questi trattamenti si aggira intorno ai 60 anni, dato che ci aiuta a capire quale sia la popolazione maggiormente interessata.
Quando arriva una segnalazione di possibili effetti collaterali, non viene presa alla leggera. Esistono procedure molto precise per valutare se quello che è successo al paziente sia davvero collegato all’uso della cannabis o se si tratti di una coincidenza. Questo processo di verifica è fondamentale per distinguere tra correlazioni reali e semplici casualità temporali.
Dal punto di vista legale, tutto è iniziato nel novembre 2015, quando il Ministero della Salute ha pubblicato un decreto che ha dato il via libera alla produzione nazionale di cannabis per uso medico. Questa decisione ha permesso all’Italia di diventare più indipendente dalle importazioni e di garantire standard qualitativi più elevati. La produzione avviene presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che dal dicembre 2016 fornisce cannabis di qualità farmaceutica a tutto il territorio nazionale.
Le regole per prescrivere questi farmaci sono piuttosto rigorose, e questo è giusto considerando la delicatezza della materia. I medici devono seguire protocolli specifici, e ogni passaggio viene controllato per garantire che tutto si svolga nel modo corretto. Questa attenzione ai dettagli serve a proteggere sia i pazienti che i professionisti sanitari.
L’ISS pubblica regolarmente dei rapporti che riassumono la situazione, e questi documenti sono accessibili a tutti attraverso il sito EpiCentro. Questa trasparenza è importante perché permette a medici, ricercatori e cittadini di avere informazioni aggiornate su come stanno andando le cose. Quando si tratta di farmaci relativamente nuovi come questi, la condivisione delle informazioni diventa ancora più cruciale.
Anche se le segnalazioni di effetti negativi sono poche, quelle che arrivano vengono studiate con attenzione. In genere si tratta di problemi che coinvolgono il sistema nervoso o l’apparato digerente, cosa che non sorprende considerando come agiscono i principi attivi della cannabis nel nostro organismo. Ogni caso viene valutato individualmente per capire se esista davvero un legame con il trattamento.
Il sistema italiano per controllare la sicurezza della cannabis terapeutica è considerato un esempio positivo anche a livello internazionale. Il metodo scientifico utilizzato e le procedure standardizzate garantiscono che i dati raccolti siano affidabili e utili per prendere decisioni sia dal punto di vista medico che normativo.
Quello che emerge da questa esperienza italiana è che quando si affronta un argomento delicato come questo con serietà e rigore scientifico, si possono ottenere risultati positivi. I pazienti che hanno bisogno di questi trattamenti possono accedervi in sicurezza, mentre il sistema sanitario mantiene il controllo sulla qualità e sui possibili rischi.
L’esperienza italiana dimostra che è possibile trovare un equilibrio tra l’innovazione terapeutica e la tutela della salute pubblica, creando un modello che potrebbe essere d’esempio per altri paesi che si trovano ad affrontare sfide simili.
Federica Menghinella