Alzheimer e litio: uno studio apre a nuove speranze di cura

La ricerca sul morbo di Alzheimer ha fatto un passo significativo grazie a uno studio pubblicato lo scorso agosto su Nature che identifica nella carenza di litio cerebrale un possibile meccanismo scatenante della neurodegenerazione. Il lavoro, condotto dal team di Bruce Yankner presso la Harvard Medical School e durato 10 anni, analizza tessuti cerebrali di 400 partecipanti del Rush Memory and Aging Project, rivelando come il litio sia l’unico metallo a diminuire significativamente già nelle fasi precoci del declino cognitivo.

Lo studio e i risultati principali

I ricercatori hanno misurato 30 minerali e oligoelementi diversi, scoprendo che nei soggetti con deterioramento cognitivo lieve – spesso precursore dell’Alzheimer – i livelli di litio erano drasticamente ridotti rispetto ai controlli sani. Questa correlazione risultava particolarmente evidente nella corteccia prefrontale, area cruciale per le funzioni cognitive superiori.

Il meccanismo alla base di questa deplezione è stato identificato nel sequestro del litio da parte delle placche amiloidi, caratteristiche patologiche dell’Alzheimer. Le proteine beta-amiloide e tau catturano progressivamente il litio disponibile, creando un circolo vizioso: meno litio disponibile comporta maggiore accumulo di amiloide, che a sua volta sequestra ulteriore litio.

Conferme sperimentali sui modelli animali

Per verificare la relazione causale, gli scienziati hanno condotto esperimenti su topi, riducendo del 92% il litio nella dieta. I risultati hanno mostrato un’accelerazione marcata della formazione di placche amiloidi, accumulo di proteine tau alterate, attivazione neuroinfiammatoria e perdita di sinapsi. Nei modelli animali geneticamente predisposti all’Alzheimer, la carenza di litio ha prodotto in sole 5 settimane danni cerebrali estesi e gravi deficit di memoria.

Il litio orotato come soluzione terapeutica

Testando 16 diverse forme di litio, i ricercatori hanno identificato nel litio orotato l’unico composto capace di resistere al sequestro da parte delle placche amiloidi. Questa forma particolare ha dimostrato efficacia eccezionale nei test preclinici: nei topi geneticamente programmati per sviluppare Alzheimer, il litio orotato ha quasi completamente prevenuto la formazione di placche e grovigli, preservando memoria e funzioni sinaptiche.

Ancora più significativo, negli animali anziani con patologia avanzata, il trattamento ha ridotto del 70% il carico di amiloide e ripristinato le capacità mnemoniche compromesse. Le dosi utilizzate erano 1000 volte inferiori a quelle impiegate per il disturbo bipolare, non mostrando alcuna tossicità anche in trattamenti prolungati.

Implicazioni per la comprensione dell’Alzheimer

Questa ricerca propone una teoria unificante che potrebbe spiegare perché alcune persone con gli stessi fattori di rischio sviluppano l’Alzheimer mentre altre rimangono protette. Il litio emergerebbe come nutriente essenziale per la salute cerebrale, al pari del ferro o della vitamina C.

L’attivazione dell’enzima GSK3β in condizioni di carenza di litio rappresenta un meccanismo chiave: questo enzima promuove la fosforilazione della proteina tau e contribuisce alla neurodegenerazione. La sequenza litio-deficienza → attivazione GSK3β → accumulo patologico → declino cognitivo offre nuovi bersagli terapeutici.

Prospettive future e cautele necessarie

Sebbene i risultati preclinici siano promettenti, gli esperti sottolineano la necessità di studi clinici controllati sull’uomo prima di trarre conclusioni definitive. Bruce Yankner, autore senior dello studio, ha espresso cauto ottimismo: “La mia speranza è che il litio possa avere un effetto più profondo delle terapie anti-amiloide, non solo attenuando ma addirittura invertendo il declino cognitivo”.

I ricercatori hanno sviluppato una piattaforma di screening per identificare altri composti del litio che possano eludere il sequestro amiloidale, aprendo la strada a ulteriori sviluppi terapeutici. La misurazione dei livelli di litio cerebrale potrebbe inoltre diventare un biomarker precoce per l’identificazione dei soggetti a rischio.

La scoperta potrebbe rappresentare un cambio di paradigma nella lotta all’Alzheimer, spostando l’attenzione dalle strategie difensive contro amiloide e tau verso il ripristino dei naturali sistemi di neuroprotezione. Tuttavia, è fondamentale che le persone non assumano autonomamente composti di litio in attesa delle necessarie validazioni cliniche

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